Sulle orme di Hemingway
Isola di Torcello
Nelle giornale di sole la si distingue subito per la forma squadrata del suo campanile e la mole della sua cattedrale, sospesa tra acqua e cielo sulla linea di orizzonte che guarda a Oriente, verso i Balcani. Sembra quasi scivolare sopra le cime della spessa cortina di cannucce di palude che contorna la laguna, lasciando a sprazzi intravedere il colore rosa e malva dei fiori di limonium che tappezzano le barene che l’avvolgono: è Torcello la bella, l’isola viola della laguna veneta. La si vede sulla sinistra, percorrendo la strada che da Trieste va verso Venezia, il massiccio campanile preceduto da quello a fuso dell’isola di Burano.
Dalla strada che man mano si srotola tra i campi di Altino romana e la laguna ardesia, i due campanili si raggiungono, si uniscono, si scavalcano, si allontanano, ritornano a governare dall’alto le proprie isole. E’ su questa strada che Hemingway, nel suo romanzo “Di là dal fiume tra gli alberi”, fa fermare a Noghera sul ponte sopra il fiume Dese il colonnello Cantwell, che ammira con il suo autista Jackson lo splendido spettacolo dell’isola che precede Venezia.
E’ su quest’isola che nell’inverno del 1948, lo scrittore americano si ritira alla locanda Cipriani a scrivere il romanzo di Venezia, che tanto scandalo fece all’epoca per il suo presunto amore con la giovane contessina veneziana Adriana Ivancich, la Renata del libro. Per raggiungere Torcello si prende il vaporetto alla vecchia dogana, la Ricettoria di Cavallino Treporti, la penisola dopo Jesolo. Solo un quarto d’ora di percorso acqueo con tappa intermedia a Burano e si è già lì. Oppure ci si arriva con il vaporetto dalle Fondamenta Nuove di Venezia, dopo quasi un’ora di tragitto sulle acque placide della laguna. Si passa vicino il cimitero di S. Michele, toccando poi l’isola del vetro, Murano, e passando vicino quello che resta dell’isola di San Giacomo in Palude.
Ai tempi della Serenissima Repubblica in quest’isola viveva un singolare personaggio che chiedeva la questua alle barche che passavano vicine con una pertica lunga quattro metri alla cui parte terminale era sistemato un retino. Si attracca poi a Mazzorbo e Burano, le isole le cui semplici case vengono evidenziate da differenti colori sgargianti cosicché i pescatori possono da lontano distinguere ognuno la propria abitazione. E da Burano, dopo cinque minuti, si arriva a Torcello dirimpetto.Il colore di Torcello è il viola e tutta la sua gamma di colori fino al rosa.
Viola come i carciofi ovunque coltivati, fucsia e indaco come i fiori del cardo in agosto, rosa e malva come il limonium, il fiore di barena che tappezza in estate la laguna, rosa come la luce della Palude della Rosa all’alba e al tramonto. E’ un’isola particolare Torcello, magica, dove vanno a dormire a stormi gli aironi cinerini, dove impazzano le rondini, dove vivono placidamente colonie di gatti bianchi e pezzati. Sembra stregata: sui canali che la costeggiano e la percorrono si notano miriadi di bollicine che sgorgano a pelo d’acqua, e che hanno nei secoli alimentato leggende di sirene. La realtà è che il sottosuolo è ricco di gas che fuoriesce in questa maniera. Sarà che il fenomeno è più accentuato sotto il ponte del diavolo, sarà per le leggende che vi aleggiano, sarà per i suoi fiori e frutti che anticipano le stagioni, ma quest’isola possiede un’inspiegabile energia propria, come narra lo scrittore muranese Alberto Toso Fei in “I misteri della laguna e racconti di streghe”.
All’attracco del vaporetto si scorge sulla sinistra una vecchia casa che da sul canale, puntellata con dei grossi travi: è la Casa dei Borgognoni, una volta sacrestia di una chiesa antica. Le persone che vi abitavano fino a qualche anno fa dicevano di sentire i passi e i respiri del fantasma di un frate, che nel Seicento qui era morto a causa di un’esplosione finendo conficcato in un camino. La Casa dei Borgognoni è anche la casa degli Innamorati della Laguna, Clementina e Lucio, che qui vissero una tormentata storia d’amore. Lucio Andrich, il geniale artista agordino riscoperto da poco con una splendida mostra fatta l’anno scorso nell’isola di Sant’Erasmo, si amava e si lasciava con Clementina, la bionda moglie che, seduta davanti casa su una panca di pietra, ricamava perennemente magnifici ed enormi arazzi a disegno libero che riproponevano i motivi dipinti dall’eclettico maestro.
Alla morte improvvisa dell’eterea Clementina, Lucio si stabilì sulla retrostante casa dei pescatori che dà a nord, sulla Palude della Rosa. La si raggiunge percorrendo il sentiero fiancheggiato da rovi che si diparte dalla strada principale che porta alla cattedrale di Torcello. Sono circa quattrocento metri per raggiungere un cancello all’ombra di un alloro e una robinia e tirare la campana. Qui ora vive il nipote del pittore, Paolo, che ha ereditato la casa e le opere dallo zio alla sua morte, sopraggiunta tre anni fa. Passare da quel cancello fa lo stesso effetto che prova Harry Potter quando si incunea nel pilone della stazione per prendere il treno al binario nove e tre quarti: si entra in un altro mondo. Una sedia antica, rossa con un bracciolo, è sistemata sotto un fico sulla destra, dalla parte dove si intravedono le campane della torre dell’isola, mentre il sentiero, ora lastricato, curva attorno ad una piccola costruzione adibita a foresteria, contornata da innumerevoli alberi da frutto e piante di carciofo. Sulla destra un terrapieno e al di là di un canale, il ghèbo del Ciucio, c’è la splendida visione della Palude della Rosa. E’ questa un’oasi naturalistica che dà rifugio a migliaia di volatili, aironi, cavalieri d’Italia che qui si aggirano indisturbati alla ricerca del cibo quando è bassa marea, e l’acqua si ritira completamente per scoprire la velma della laguna e denudare le barene che la circondano.La casa dell’artista è subito dopo la curva, bianca e bassa, preceduta da un patio dal tettuccio fatto con cannucce di palude, le grisìoe, da cui pendono strani candelabri ed enormi collane di vetro sopra un tavolo ottocento e architravi di marmo che fanno da panchine.In questa casa alberga il Magnificat di Marco Frisina.
Lo si sente appena entrati, aleggia nei locali, sale sulla scala che porta in soffitta, dove dall’abbaino si gode una vista mozzafiato sulla laguna verso Tessèra e sulle Prealpi Bellunesi che sembrano galleggiare sull’acqua, un immaginifico panorama del creato che non ha paragoni. La casa è stata completamente restaurata da Lucio Andrich, il pavimento fatto con tavelle e terrazzo alla veneziana, i soffitti con il legname proveniente dai boschi del Civetta sulle Dolomiti, le porte del quattrocento contornate da fantasiose cornici di legno, i caminetti con le maioliche olandesi, le terrecotte e le tessere di mosaico blu, i marmi incastrati sul muro, i vecchi mobili, le sue opere ovunque, oli su tela, incisioni, panche dipinte, bozzetti, foto, statuine di legno pirografate, vetri, fusioni…Il nipote Paolo coltiva le carciofaie dello zio, ha la passione per fare la marmellata di mele cotogne del suo frutteto, e gestisce un bed & boat nelle piccole stanze della foresteria arredate con mobili antichi. E’ un personaggio eclettico pure lui. Le sere d’estate smette i panni del coltivatore e prepara singolari serate estemporanee.
C’è vita nell’isola di Torcello.
Dopo le otto di sera, quando se ne vanno i turisti giornalieri, dal vaporetto, dal pontile dietro casa, attraccano le barche degli amici che arrivano sempre numerosi portando del pesce appena pescato e bottiglie di prosecco. E lì, sotto il patio, si chiacchiera, si ride, si mangia e si beve con il sottofondo delle musiche swing di Frank Sinatra, aspettando il momento buono per chiedere a Paolo che reciti le poesie di Zanzotto o i passi dell’Iliade in veneziano tradotta dal Casanova. Ha in progetto un bird-watching sulla Palude della Rosa, mentre si sta approntando un itinerario pedestre che dal vaporetto passa per la casa d’artista e arriva in piazzetta a Torcello costeggiando l’isola. Da Casa Andrich, proseguendo verso la Cattedrale, si trova il Ponte del Diavolo, famoso per una leggenda.
La leggenda del Ponte del Diavolo
Durante l’occupazione austriaca, una fanciulla veneziana si innamorò di un ufficiale di quell’esercito. La famiglia di lei ne fu contrariata, tanto che il giovane, un giorno, fu trovato pugnalato. La ragazza da quel giorno, non mangiò più, deperì, si disperò talmente tanto da chiedere aiuto ad una maga. Questa si rivolse ad un demone, che promise di fare tornare il ragazzo dall’aldilà e farlo incontrare con l’innamorata. In cambio chiese le anime di sette bambini morti precocemente.
Si stipulò il contratto, si trovò il luogo adatto all’incontro, un arco di pietra sopra un corso d’acqua, il ponte di Torcello per l’appunto. Si fissò una data, il 24 dicembre, quando le forze del bene erano affaccendate altrove… La ragazza e la maga si presentarono all’appuntamento e trovarono puntuali, al di là della riva, Belzebù e il giovane austriaco. La giovane attraversò il ponte, raggiunse l’amato e scomparve nella notte con lui, verso un luogo dove nessuno li avrebbe più separati.
Il diavolo e la strega si dettero appuntamento di lì a sette notti, affinché la vecchia consegnasse le anime dei sette bimbi come pattuito. Ma qualcosa andò storto, la maga perì in quei giorni e il demone aspettò inutilmente quella notte, e tutte le notti di tutti gli anni seguenti. Da quel giorno, la vigilia di Natale, accade di vedere un gatto nero ritto su quel ponte: è il diavolo che aspetta la strega con le anime pattuite. E davvero c’è quel gatto nero, ma è la Nerina, la gatta della Locanda Cipriani che va a trovare i mici della Giuliana, la decana ultra ottantenne di Torcello che abita proprio davanti il Ponte del Diavolo.
Giuliana ama i gatti, nel suo giardino che dà sulla stradina se ne vedono sempre di diversi, tutti tranquilli ad osservare i turisti che ci passano davanti. E’ la memoria di Torcello, davanti la sua casa sono passati celebrità, teste coronate, Hemingway… “Sì, l’ho conosciuto. Veniva qui spesso dopo la guerra. Era amico di Giuseppe Cipriani, alloggiava nella sua Locanda, giù dal ponte, più avanti. Mi ricordo che voleva che gli abitanti di Torcello andassero da lui al Cipriani tutte le sere.
Ci offriva sempre qualcosa, da bere, del caffè, voleva che tenessimo compagnia alla moglie, Mary Welsh. Lei era simpatica, affabile, gentile, parlava con tutti. Se sapeva l’italiano? Si faceva capire bene! Eccome. Lui era abbastanza per conto suo, parlava poco, e si ritirava subito in camera. E beveva tanto, caspita se beveva! Noi invece restavamo giù a fare festa, c’erano le musiche e si danzava, e Mary rideva e ballava con tutti i più bei giovanotti di Torcello. Allora eravamo duecento persone, non i dodici residenti di adesso. Lui scriveva tanto la mattina, ha scritto un romanzo su Venezia, non mi ricordo il titolo… Le teste coronate? Beh, Carlo e Lady Diana, la regina madre d’Inghilterra, i reali del Belgio. Che putiferio quella volta che è venuto Giscard d’Estaing!
L’isola pullulava di poliziotti, non si poteva uscire di casa. Mi ricordo Kim Novak, altri… tutte le celebrità che vengono a Venezia passano per di qua.”Dalla casa della “gattara” si va verso la prima piazzetta dove c’è la famosa Locanda Cipriani, ora gestita da Bonifacio Brass e la consorte Daniela, nipote diretto del mitico Giuseppe. E’ un locale accurato, sui muri le foto delle celebrità, le dediche di Hemingway, una cucina rinomata, famosa e citata in tutte le guide turistiche, ha sei stanze.La più richiesta è, neanche dirlo, quella dove ha soggiornato il celebre scrittore americano. Viene prenotata con largo anticipo da una clientela prettamente anglo americana, soprattutto giornalisti e scrittori, che qui vi soggiornano traendone ispirazione. E’ un semplice locale diviso in due: la parte notte, due letti ad una piazza e mezza, un armadio a muro, una sedia e uno scrittoio, forse l’originale, dove tutti quelli che passano e scrivono sperano di percepirne un po’ l’anima… il bagno è piccolo ma grazioso, le pareti coperte da piccole tessere di mosaico azzurro.La parte giorno ha una porta che dà su di un terrazzino con vista incantevole sulla piazzetta della cattedrale, ed è arredata con due poltrone, un tavolino, una libreria incassata nel muro piena di libri in tutte le lingue. Non sono della locanda. Ogni ospite ne lascia qualcuno di proprio, lascia il suo segno, un po’ della sua anima. Appartengono a quel luogo. Tutto è restato come negli anni cinquanta, i colori giallo e avorio, i mobili, le tappezzerie.
Renata, Cantwell, Jackson, Giuseppe Cipriani e la contessina Ivancich, le battaglie sul Piave stanno ancora là, aleggiano nella stanza.Da Cipriani tanti arrivano in barca o con le pilotine. Davanti al luogo di sbarco c’è un altro personaggio famoso, lì da sempre, el gansèr, l’uomo a cui lanciare la cima della barca che viene legata con el ganso, il gancio per l’appunto. Si prosegue a piedi fino alla Piazzetta della Basilica dalle imposte di pietra. Al centro, tra i resti archeologici, risalta il trono di Attila, un soglio di marmo che la leggenda vuole sia del re unno, il sito più fotografato dell’isola, dove sostano colonne di turisti in attesa di sedervicisi ed essere immortalati. Sullo sfondo il museo con i resti romani e medievali, l’antiquario con accanto la vigna, dove statue di marmo dalle strane pose sembrano corrervi in mezzo. Di fronte al trono, che sembra in realtà sia stato usato in antichità dai tribuni dell’isola per amministrare la giustizia, sta sulla destra la Chiesa di Santa Fosca, dell’XI secolo, deliziosa nella sua pianta pentagonale, armoniosa nello stile architettonico, meta di sposalizi da tutto il mondo. Accanto si erge la Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, fondata addirittura nel 639, all’epoca dell’imperatore Eraclio. Quando si entra dalla porta laterale, non si può non restare colpiti dal grandioso mosaico dell’XI secolo di scuola veneziana, sopra la porta maggiore, che rappresenta l’apoteosi di Cristo e il Giudizio Universale e dal pavimento della chiesa, un susseguirsi armonioso di disegni geometrici fatti con pezzi di marmo di diversi colori come quello della Basilica di San Marco. Alla sinistra dell’altare ci sono delle lastre di alabastro che delimitano il presbiterio: con la luce sono talmente trasparenti che se si mette una mano al di là della pietra se ne vede l’ombra. Fuori della Basilica si possono osservare i finestroni in alto: sono tutti provvisti di enormi imposte di pietra incernierate.
Si può chiederne spiegazione al parroco, Don Rosolino, che parlerà allora delle origini di Venezia. Da studioso ne ha ritrovato la provenienza egea, pronto ad erudire l’ascoltatore con un’affascinante teoria che ha pure pubblicato. Merita una visita la torre campanaria, dalla cui cima si gode un’incomparabile vista su tutto l’estuario lagunare. Ci sono i resti di una basilica romana nell’isola di Villa Baslini, che si raggiunge passando sopra il Ponte del Diavolo o per via d’acqua, e che si possono visitare chiedendone permesso al custode. Al calar del sole, quando gli ambulanti chiudono i loro chioschi di souvenir e ritornano alle loro case, quando le frotte di turisti raggiungono l’imbarcadero per tornare a Venezia e su Torcello scende finalmente il silenzio, i pochi abitanti restati escono dalle loro case per riappropriarsi nuovamente dell’isola. Ai piedi del Ponte del Diavolo la Giuliana, munita di canna, pesca i gò, i ghiozzi, per i suoi gatti che l’attorniano sornioni, tutti in fila schierati in attesa della preda. Su Torcello scende la sera, la luce crepuscolare riprende i colori rosa e violetta delle barene e affoga il cielo sull’acqua, ne fa un tutt’uno, e un’aurea di cipria avvolge l’isola e la separa dal resto del mondo.
Gli aironi volano a stormi per andare a dormire al di là del canale dei Borgognoni. Sui rii l’acqua ribolle ancor di più, sono le sirene che rientrano ai loro rifugi per riposare. E di colpo sembra che le anime antiche si sveglino e tornino di nuovo ad aleggiare sui luoghi dove hanno sempre vissuto e mai abbandonato, assieme alle danzatrici del mare e agli innamorati perduti del Ponte del Diavolo.Ritornando verso casa Andrich per vivere una nuova festa la notte, si sente l’odore forte del salmastro dei canali, il fresco della brezza che si leva e porta via la calura del giorno. E’ allora lì che viene da ripetere come in un mantra: Torcello Beata, Torcello Creato, Torcello Stupenda, Torcello Magnifica, Torcello Madre di Venezia. Torcello la Bella. Torcello amore mio.
Lieta Zanatta